17 luglio 2012

La Sicilia e la cultura: Considerazioni dal flop della Norma

Più trasparenza nell' elargizione dei contributi


Norma è un marchio culturale per Catania, per la Sicilia e l’Italia intera, un capolavoro assoluto degno di rappresentarci nel mondo e giuste erano le ragioni della rete televisiva di stato, per celebrare il passaggio al digitale terrestre, di trasmetterla addirittura in mondovisione dal canale dedicato alla cultura.


Peccato però che come sempre accade dalle nostre parti l’occasione sia stata palesemente sprecata e lo spettacolo proposto sia stato a tratti addirittura imbarazzante sotto il profilo musicale e scenico, (andamento dei tempi sbagliato, archi non amalgamati, attacchi dei cantanti approssimativi o non in tempo, fiati non molto performanti ed atteggiamento poco consono al personaggio di una Norma quasi danzante durante tutto l’arco del primo atto) con l’unica eccezione delle inquadrature in campo lungo della cavea del Teatro con lo sfondo dell’incantevole costa taorminese.


Il perché di una simile occasione mancata sono da ricercare nella cervellotica gestione delle risorse artistiche che ha spinto gli organizzatori ad utilizzare un coro non molto adeguato alla rappresentazione ed un’orchestra (dei conservatori, ancora in stato embrionale e dall’incerto futuro) raccogliticcia, quando un’opera complessa come Norma per mostrare tutta la sua bellezza deve avvalersi di complessi amalgamati, granitici e sapientemente diretti.


Cosa ha potuto spingere il comitato organizzatore ad ignorare delle solide realtà presenti su tutto il territorio siciliano (Teatro Massimo di Catania, a cui sarebbe dovuta toccare la titolarietà, Teatro Massimo di Palermo, Orchestra sinfonica siciliana) in favore di un insieme che in alcuni momenti mostrava tutti i suoi limiti? Sicuramente non una logica di stolto risparmio, posto che l’evento, una volta avviato diventava un’arma a doppio taglio.


Si sarebbero potute trovare soluzioni più semplici, artisticamente più evolute e sicuramente non più costose se la politica siciliana in generale e catanese in particolare non si fossero, nel corso degli anni, impegnate allo spasimo per ridimensionare o addirittura distruggere le migliori risorse culturali in nostro possesso e i lampanti casi del Teatro Massimo, del Teatro Stabile di Catania e dell’Istituto superiore di studi musicali Bellini di Catania, che subiscono giornalmente pesantissimi tagli, sono li a testimoniarlo.


Un festival dedicato al Cigno catanese è qualcosa che può essere gestita solo dal previsto e mai attuato “Politecnico delle arti”, che avrebbe dovuto avere una delle sue sedi a Catania, unica struttura che racchiude in se ogni espressione della cultura artistica (Teatro d’opera, teatro di prosa, conservatorio di musica e accademia di belle arti) e dalla quale naturalmente discendono orchestre, cori, attori, scenografi, costumisti e registi che però avrebbero lo svantaggio di costare troppo poco e di lasciare poco spazio alle solite alchimie alle quali la politica ci ha nei decenni abituati. La parola d’ordine sembra sia sempre la stessa: distruggere il bene pubblico in favore di sempre più fantasiose e dispendiose iniziative quali la serata inaugurale dei mondiali di scherma ed il circuito del mito.


Per chiudere queste brevi considerazioni, cito Pasquale Pistorio, il quale solo pochi mesi fa affermava dalle autorevoli colonne di un quotidiano che si potrebbero guadagnare 3 punti percentuali di PIL investendo nella cultura; da noi invece, si continua solo a tagliare e si propongono in mondovisione produzioni che non fanno onore alla nostra enorme tradizione culturale.