All’incontro hanno partecipato il segretario generale della CGIL Catania Angelo Villari, il segretario confederale Giovanni Pistorio, il segretario generale della SLC CGIL Catania Davide Foti, il deputato nazionale del PD Giuseppe Berretta e il deputato regionale del PD Concetta Raia. Sono stati invitati amministratori delegati e responsabili per le risorse umane di importanti imprese del settore; tra questi Luca D’Ambrosio, amministratore delegato Visiant Next spa, Giovanni Mantelli amministratore unico QE’ Call center srl e Carmine Spina, amministratore delegato della Eurocall network.
“Dopo la crescita degli anni Novanta, e grazie anche al sistema degli sgravi fiscali, la nostra Isola ha vissuto una stagione florida per la crescita dei call center. – spiegano Angelo Villari e Giovanni Pistorio- Ma le delocalizzazioni oggi rischiano di indebolire il valore tutto italiano della privacy dei consumatori a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un’adeguata tutela e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica. Per questo crediamo che gli enti committenti per primi debbano evitare queste pratiche. Per fortuna, c’è chi non ha intenzione di affidarsi ai Paesi esteri e vuole investire sul nostro territorio e le nostre professionalità”. E aggiunge Foti: “L’intervento della politica è l’unico che può davvero cambiare le regole. Le cessioni governative dovrebbero contenere clausole ben precise. E il sindacato sta cercando di giocare la partita proprio su questo terreno”.
Cosa ne pensano i politici? Quelli presenti ieri, e cioè i deputati del PD Berretta e Raia, hanno già abbracciato la causa. “Entro questa settimana presenterò un ordine del giorno affinché la Regione Sicilia faccia la sua parte in tutta questa storia”, sottolinea Concetta Raia, mentre Berretta fa riferimento all’emendamento al Decreto sviluppo di cui è firmatario: “ Ci sono possibilità di inserire una serie di vincoli nelle norme di concessionarie che puntino a radicare nel territorio nazionale queste realtà. Ci si dovrà muovere in un contesto di incentivi/disincentivi. Non è un gioco di parole: vuol dire che i primi dovranno essere di carattere economico per incentivare la locazione, ma i secondi dovranno scoraggiare la delocalizzazione. Il far west va superato e la tutela dei servizi e dei lavoratori dovrà passare da queste azioni”.
Le aziende, intanto, devono fare i conti con un mercato che cambia rapidamente le regole e con un contesto non sempre favorevole come quello siciliano. Spiega D’Ambrosio: “Ben vengano gli aiuti di Stato. Ma che senso ha scappare quando finiscono? Non è così che si cresce, non è così che si valorizza un territorio dove si è scelto di investire. Purtroppo gli aiuti possono essere solo un palliativo. Crediamo invece negli investimenti in strutture tecnologiche ma anche nella formazione. Cosa lasciamo ai ragazzi che lavorano per noi all’inizio delle loro carriera, e poi, magari, trovano altro? Professionalità, un metodo di lavoro ed anche delle conoscenze tecniche che torneranno loro utili”
Un intreccio di volontà e circostanze che sembra animare le aziende più serie. Mantelli assicura: “In un anno abbiamo investito più di un milione di euro senza aiuti pubblici. E questo è un dato che significa molto. In Sicilia contiamo 900 lavoratori, di cui 250 dipendenti e gli altri sono a progetto. Questi ultimi, però, hanno un fisso che non li differenzia dai dipendenti. Crediamo invece che qui i veri problemi siano altri: la burocrazia che applica regole solo a chi le regole le segue. Dimenticandosi degli abusivi…”
C’è anche l’incredibile vicenda dei “sottoscalisti”. Così li chiama Carmine Spina: “Nel senso che fanno concorrenza sleale a chi crede nell’impresa onesta, organizzando squadre di ragazzi sistemati nei sottoscala senza regole e senza tutele. Noi siamo invece presenti in Sicilia da otto anni. Puntavamo sul manifatturiero e poi abbiamo diversificato. Oggi contiamo 600 dipendenti tra Sicilia, Puglia, Lombardia e Piemonte. A Catania abbiamo 300 lavoratori stabilizzati e 900 collaboratori. Questi ultimi hanno una scolarizzazione elevata e per i collaboratori si tratterà di un lavoro di passaggio. Ma è un problema di business. Una cosa è però certa: crediamo nella qualità del servizio, formiamo queste persone con un approccio molto professionale ed etico. Non abbiamo intenzione di andar via e crediamo nella validità dell’impresa a prescindere dal fatto che arrivino o meno gli aiuti pubblici. Molto però dipende anche dalla commesse…”.
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