01 maggio 2012

Primo Maggio: Intervista a Susanna Camusso - di Rinaldo Gianola -

“Il primo maggio si deve sempre celebrare perché bisogna rimettere il lavoro al centro. Troppi in questi mesi hanno fatto la scelta più tragica: togliersi la vita perché non vedevano più prospettive”. Ed è per questo che quest'anno la festa del lavoro è dedicata a tutti coloro che sanno che “se non si investe nel lavoro non si uscirà dalla crisi” e che “il rigore è una politica miope e sbagliate che ci ha portato in una stagione depressiva”. Con queste parole Susanna Camusso ha iniziato il suo intervento dal palco di Rieti per la manifestazione del 1° maggio.

“Molti nei mesi scorsi avevano sperato nel governo Monti ma adesso possiamo dire che se non si cambia lo spartito non vediamo più la differenza tra il prima e il dopo, tra questo governo e quello che c'era prima”. Parole di Camusso dal comizio di Rieti. Non ci hanno convito a partire dalla riforma del mercato del lavoro: “Sono rimaste le forme precarie e gli ammortizzatori sociali sono più piccoli di quelli di prima”. Così come “non ci hanno convinto quando dicono che per risolvere i problemi bisogna poter fare i licenziamenti facili. Bisogna cambiare pagina investendo sul lavoro”.

Al rigore c'è alternativa. “Non si deve continuare a colpire il lavoro ma chi ha di più e nella crisi non ha mai pagato. Non servono i tecnici dei tecnici, bisogna smetterla di aggredire il reddito perché è così che si crea diseguaglianza” ma “cercare le risorse dove ci sono, a partire dal fare un accordo con la Svizzera per far rientrare i capitali in fuga. La Germania - da cui prendiamo lezioni - lo ha fatto”.

“Un pensiero a quei lavoratori che oggi hanno dovuto proclamare sciopero per essere nelle piazze e non nei centri commerciali aperti” e “un pensiero per i nostri cooperanti rapiti all'estero Rossella Urru, Bruno Pellizzari e Giovanni Lo Porto”.

“Continueremo la mobilitazione per difendere le condizioni dei lavoratori perché non sopportiamo più un Paese che degrada continuamente. Siamo stufi di vedere Finmeccanica nelle cronache dei giornali per le tangenti, vorremmo vederla per gli investimenti. Non ci rassegniamo al fatto che non si provi a cercare strade possibili perché crescita e equità non restino parole”. A partire dal fisco: “Vogliamo una risposta quest'anno: si detassi la tredicesima e si diano risorse. E poi subito tre cose semplici: ridurre la diseguaglianza, alzare il reddito del lavoro e creare lavoro”.


- L'INTERVISTA -

Segretario Camusso, parliamo tanto di lavoro ma c’è la netta sensazione che abbia perso valore e importanza nella nostra società. È così?


«In questi anni è passato un messaggio tutto politico che solo il denaro dà forza, solo i soldi, l’arricchimento individuale garantiscono il successo e per raggiungere questo obiettivo vanno bene le scorciatoie, le furbizie, le protezioni dei potenti, l’evasione fiscale. Chi lavora onestamente, il disoccupato, le donne e i giovani in difficoltà sono colpevolizzati da una “cultura” aberrante che nega la solidarietà, la giustizia sociale, l’aspirazione a diritti fondamentali. Il disvalore del lavoro rende più grave la crisi e accentua drammaticamente le diseguaglianze tra chi sta meglio e chi sta peggio».


Come ne usciamo?


«La Cgil combatte una battaglia perché sia chiaro che il modello economico adottato in Europa e che fa proseliti in Italia è sbagliato e ha fallito. Il neoliberismo ha determinato la crisi in America e noi l’abbiamo copiato, ne abbiamo fatto una versione un po’ raffazzonata che mina le basi dell’Unione Europa. Oggi aumentano pericolosamente la distanze e i conflitti tra i Paesi europei, anziché procedere verso un processo integrativo viene alimentato un disegno disgregativo dell’Europa. La signora Merkel ragiona come se le stessero rubando la merenda. Speriamo nella svolta in Francia. È ora di riscoprire il valore della vecchia mediazione tra capitale e condizioni di vita delle persone che ha consentito al Vecchio Continente di crescere e di vivere in pace. Questo impegno è ancora più urgente per il nostro Paese che ha bisogno di una riscossa morale per fronteggiare un degrado anche civile ormai insopportabile».


In questo degrado inserisce anche la violenza sulle donne?


«Certamente. La violenza che vediamo così chiaramente in questi giorni è il risultato di un deterioramento profondo della nostra convivenza, delle relazioni tra uomini e donne, in cui la stagione del berlusconismo ha avuto un ruolo decisivo. Il messaggio dell’egoismo individualista, del “liberi tutti”, che non ci sono regole da rispettare, è passato in profondità e non è casuale che le prime vittime siano le donne. Parallelamente a questi fenomeni drammatici c’è un’offensiva politica e sociale contro le donne, il diritto alla maternità e al lavoro».


A che cosa si riferisce?


«A interventi legislativi che danno il senso di una guerra alle donne. Siamo partiti dalle dimissioni “in bianco” e siamo arrivati a discutere dei costi della maternità responsabile, delle donne che non hanno la testa per il lavoro, che in un momento di crisi le donne possono stare a casa... Se rimetti in circolo queste idee crei le condizioni per avvelenare la società, per far vincere sempre il più furbo e il più forte. E le donne sono deboli, hanno bisogno della battaglia del movimento, del sindacato, della politica seria».


Non è arrivata l’ora di riscoprire l’intervento pubblico in economia?


«In Europa si sono salvate le banche con i soldi pubblici che, però, non si possono usare per il lavoro, per mantenere il tessuto industriale, per difendere quote di sviluppo. C’è una patologia che impedisce l’indispensabile svolta: è la teoria che il privato sia sempre meglio del pubblico, che l’assicurazione e la sanità privata siano i modelli da perseguire così si può smantellare il welfare statale. Poi ci troviamo i buchi di don Verzè e le curiose vicende di Formigoni».


Dopo quattro anni di crisi che cosa la preoccupa di più?


«La deriva sociale, il rischio che la rassegnazione e la paura spingano molti alla disperazione. Questi elementi, purtoppo, ci sono. Però vedo che la gente, i lavoratori, i disoccupati, gli esodati hanno voglia di lottare. Il sindacato mantiene la sua credibilità, la capacità di stare vicino alla gente che soffre. E la Cgil mantiene alta l’attenzione sui diritti, sulla condizioni di lavoro, sulla democrazia in fabbrica. Deve essere chiaro che non arretreremo sull’articolo 18».


Si nota una ripresa di collaborazione tra Cgil, Cisl e Uil. A che punto siamo?


«Il movimento sindacale, pur con tutti i difetti, tiene un alto profilo di fronte all’emergenza. Con Cisl e Uil lavoriamo a livello nazionale e sul territorio per fronteggiare gli effetti della crisi. Penso che dovremo fare una proposta unitaria sul fisco al governo perché non è

tollerabile che lavoratori e pensionati paghino il prezzo più alto. Noi della Cgil, poi, pensiamo che lo sciopero generale abbia ancora un valore».


Monti cambierà politica?


«Non mi pare. Però le persone intelligenti possono capire i problemi e le ansie di tanta gente, e possono cambiare idea».


Segretario, il suo primo ricordo della festa del lavoro?


«Il “mio” Primo Maggio nella memoria è Luciano Lama sul palco in piazza del Duomo a Milano che annuncia la liberazione di Saigon. Che felicità! Era il 1975, allora non c’era Internet».