Ci piacerebbe sapere dal Governo e dal ministro Passera, innanzitutto, se trova normale il fatto che la Cassa Depositi e Prestiti, organismo di diritto pubblico, decida di finanziare Metroweb, società milanese ma con ambizioni nazionali, in competizione con Telecom Italia e con l’obiettivo di creare una seconda rete di tlc nel nostro paese. In questo momento l’Italia ha il primato, almeno teorico, di lavorare per la realizzazione di ben due reti. Si tratta soltanto di sprechi ordinari in un Paese che sta stringendo la cinghia pesantemente? E’ una svista se di Metroweb è azionista un operatore straniero?
Noi, che siamo convinti che i processi di liberalizzazione non siano il diavolo, ci domandiamo però perché mai lo stato debba intervenire direttamente nella dinamica di mercato, alterando la competizione.
In Italia c’è bisogno di una rete di telecomunicazioni, e non di due, aperta a garanzia del libero accesso e non di continuare con i soliti pasticci che ricordano più i vecchi carrozzoni del parastato che non la moderna esigenza di una politica delle risorse e dello sviluppo adeguata ai tempi.
Ci permettiamo di aggiungere che se un euro di investimento pubblico è necessario, questo dovrebbe servire per portare la rete nelle aree in cui, continuando così le cose, temo non la vedranno mai.
Telecom Italia e Metroweb, sfida sulle Reti
Telecom Italia e la Cassa depositi e prestiti (Cdp) rischiano di entrare in rotta di collisione. Teatro del contrasto, le reti di nuova generazione in fibra ottica che assicurano la banda larga e ultralarga, basilari ai tempi del cloud computing. I segnali premonitori si leggono nella discesa delle quotazioni di Telecom, che hanno perso il 18% in un mese. Gli hedge fund stanno vendendo a piene mani. Sono convinti che la società Metroweb, controllata dal fondo infrastrutturale F2i e sostenuta dalla Cassa depositi e prestiti e da Intesa Sanpaolo, voglia davvero cablare le principali 30 città italiane. L’incontro dell’amministratore delegato, Alberto Trondoli, con la comunità finanziaria londinese, avvenuto il 24 maggio, ha seminato il dubbio che Metroweb possa togliere fatturato, e quindi margini, a Telecom Italia. E il dubbio potrebbe diventare qualcosa di più già lunedì 28 maggio se davvero il consiglio del Fondo strategico della Cdp, guidato a Maurizio Tamagnini, banchiere d’affari ex Merrill Lynch, deciderà di investire nel capitale della società-veicolo che controlla Metroweb. Si parla di 200 milioni di euro subito e altri 300 in seguito. Il piano diMetroweb era stato sommariamente illustrato alla Camera dei deputati il 14 maggio dal gerente di F2i, Vito Gamberale, e in qualche misura preannunciato il giorno prima dall’audizione del presidente della Cdp, Franco Bassanini: 4,5miliardi di investimenti per portare 100 megabit fin dentro le abitazioni da qui al 2020. Metroweb si finanzierà per il 60% a debito e per il 40% con capitale di rischio, in parte fornito dai soci e in parte costituito dalle azioni emesse in cambio delle reti cittadine che verrebbero apportate dagli enti locali. La Cdp scommette su Gamberale per sbloccare la stasi degli investimenti, seguita all’exploit iniziale a Milano, fatto da Metroweb. Le compagnie telefoniche clienti assicurano a Metroweb unmargine di 47 milioni. Che giustifica il prezzo di 430 milioni pagato l’anno scorso al fondo inglese Stirling Square che aveva rilevato la società da A2A. Nello stesso lunedì 28, il consiglio di Telecom, convocato a Torino dal presidente Franco Bernabè, esaminerà i dettagli del piano aziendale per la reti di nuova generazione. Al 2020 Telecom conta di investire 2 miliardi, un quarto dei quali nei prossimi due anni per portare i 100 megabit al 70% della clientela delle prime 100 città italiane e poi a 215 città a fine decennio. Questo piano, che è parte di una campagna di 9miliardi sulla rete per i prossimi tre anni, porterà la fibra agli armadietti ai piedi degli edifici. Il collegamento con le abitazioni sarà assicurato con il vectoring. Una tecnologia, questa, che Metroweb ha contestato in Parlamento perché debole quando sale l’affollamento degli utenti e soprattutto perché discriminerebbe la concorrenza nell’accesso alla rete. D’altra parte, Telecom Italia ritiene uno spreco l’accesso in fibra alle abitazioni. Metroweb avrebbe un esborso di 800 euro a cliente con un ritorno dell’investimento in 26 anni, mentre il modello Telecom richiederebbe 170 euro per cliente e dunque darebbe un ritorno in soli 8 anni. Lunedì sarà dunque una giornata particolare. In un paese fermo da 10 anni sulla banda larga (Milano è all’avanguardia, il resto della penisola no) e con un governo in bolletta, che promette da anni e non versa mai i contributi necessari a superare il digital divide, ora ci sarebbero non uno ma due soggetti pronti a investire in un’infrastruttura strategica per il Paese ma dagli incerti ritorni. Nelle telecomunicazioni, la concorrenza tra infrastrutture è superata da anni. Gli operatori possono competere avendo un accesso certo ed equo alla rete, vecchia o nuova che sia. Sarebbe logico un accordo. Dopo mesi di tira e molla, un’intesa in extremis sulle architetture tecnologiche e sul piano finanziario darebbe il senso di un Paese che ragiona e buca le strade una volta sola. Telecom può certo battere sul tempo Metroweb. Il suo schema è più agile. Ma potrebbe subire lo stop dell’Antitrust. Accadde proprio alla Tim di Gamberale di dover aspettare Omnitel, l’attuale Vodafone Italia. Ma l’unione delle risorse in una società della rete con Telecom in minoranza è dura: proprio la rete garantisce le obbligazioni Telecom. E i tempi non sembrano ancora maturi per un ingresso di Metroweb e soci direttamente in Telecom attraverso un aumento di capitale vincolato alla banda larga. Troppo feroci sono state le polemiche sotterranee, mentre Telecom, che capitalizza 13 miliardi e ha un gioiello che si chiama Tim Brasil, sta diventando la possibile preda di qualche operatore globale. Già nel 2007 si fece vedere Carlos Slim.
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